Per un dialogo democratico sul DDLR “Allontanamento ZERO”

Per un dialogo democratico sul DDLR “Allontanamento ZERO”

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9 dicembre 2019
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Lanciata da Comitato Promotore

Il presente documento nasce in seguito all’approvazione da parte della giunta regionale piemontese del DDLR “Allontanamento ZERO” (22/11/19) e all’analisi delle motivazioni che hanno portato a proporre una nuova legge per normare l’affidamento familiare nella nostra regione, in forte connessione con recenti fatti di cronaca (caso Bibbiano, Indagine “Angeli e Demoni”), ancora in definizione.

In sintesi, riteniamo che il DDLR presenti le seguenti criticità. In primo luogo, reputiamo che non ci siano gli elementi per poter sostenere che l’allontanamento dei bambini dalle famiglie di origine sia eccessivo e che avvenga per soli motivi economici, né per affermare con certezza di poterlo ridurre del 60%. Dall’analisi semplicistica, ed errata, dei motivi che conducono all’allontanamento scaturisce una soluzione altrettanto semplicistica: fornire un contributo economico alle famiglie in difficoltà genitoriale. Non si valuta tuttavia l’inefficacia di tale intervento in situazioni complesse e non si prevedono peraltro risorse aggiuntive per i servizi di sostegno alle famiglie, né tantomeno un ripensamento organico dei diversi interventi (che preveda una maggiore collaborazione tra il settore educativo, quello sanitario e quello sociale), ma solo uno spostamento di risorse da un capitolo all’altro del bilancio, con il rischio di impoverire ulteriormente il settore sociale. Naturalmente le azioni di prevenzione sono importanti e vanno rafforzate. Ma per essere efficaci, devono essere adeguate nelle risorse e negli strumenti. Qui sta la debolezza del DDLR e della analisi da cui muove.

Risulta inoltre estremamente riduttivo prevedere quale unica deroga alla necessaria attuazione del progetto educativo familiare per almeno sei mesi (prima di un allontanamento), il riferimento alle eventuali "prescrizioni dell'autorità giudiziaria". Tale previsione sembrerebbe escludere gli allontanamenti disposti per via amministrativa (d'urgenza ai sensi dell'art. 403 cod. civ.) e per via ordinaria (ai sensi dell'art. 4 comma 1° della legge 184/1983 e successive modifiche). Ciò pare illegittimo per almeno due ordini di ragioni: contrasto con l'interesse del minore a essere protetto in situazioni in cui ci sia rischio di grave pregiudizio; violazione della riserva statale sulla disciplina dell'affidamento familiare (contiene norme incompatibili con la legge 184).

Considerazioni sulle motivazioni dichiarate del disegno di legge e sulle pratiche proposte

I motivi dichiarati per una nuova proposta di legge sono:

1) il Piemonte risulta sopra la media nazionale per gli allontanamenti dalla famiglia d’origine;

2) il 60% degli allontanamenti possono essere superati se si lavora con la famiglia d’origine e se si aiutano economicamente le famiglie di origine con un contributo almeno pari a quello dato alle famiglie affidatarie o ai presidi;

3) l’utilizzo dell’affidamento a parenti fino al quarto grado risulta da incrementare;

4) investire il denaro utilizzato per l’allontanamento dei minori dalle famiglie di origine nella prevenzione.

Osservazioni critiche sui quattro punti.

1) Il Piemonte risulta sopra la media nazionale per gli allontanamenti dalla famiglia d’origine

Paragonare la media degli allontanamenti in Piemonte con la media nazionale, per affermare che occorre diminuire tali interventi, non ha alcun senso. Le differenze interregionali sono minime (I dati per regione evidenziano un range che va dallo 0,5 per mille dell’Abruzzo al 3,2 per mille della Liguria per gli affidi e dallo 0,8 per mille di Abruzzo, Toscana e Friuli-Venezia-Giulia al 3,1 per mille del Molise per l’accoglienza nei servizi residenziali. In Piemonte si rileva il 2,1 per mille di affidi familiari e l’1,6 per mille di accoglienza nei servizi residenziali,  Istituto degli Innocenti, 2019), se rapportate ad esempio a quelle che si evidenziano con gli altri Paesi europei (gli allontanamenti dei bambini in grave difficoltà familiare in Italia sono molto meno degli altri Paesi europei: 1/3 rispetto alla Francia e alla Germania e metà rispetto all’Inghilterra). Occorre chiedersi inoltre se il dato non possa essere spiegato con il fatto che il Piemonte abbia lavorato meglio di altre regioni, intercettando più efficacemente i casi di difficoltà.

2) Il 60% degli allontanamenti possono essere superati se si lavora con la famiglia d’origine e se si aiutano economicamente le famiglie di origine con un contributo almeno pari a quello dato alle famiglie affidatarie o ai presidi

Al 31 dicembre 2018, in Piemonte i minori allontanati dalla famiglia di origine erano 2597: di questi, 1050 in comunità (800 italiani e 250 stranieri non accompagnati) e gli altri in affido. Certamente si rileva la necessità di lavorare per incoraggiare ulteriormente la disponibilità delle famiglie affidatarie.

Rispetto alle motivazioni dell’allontanamento tuttavia, i dati presentati dalla Regione Piemonte a sostegno del disegno di legge evidenziano alcune differenze sostanziali rispetto a dati analoghi pubblicati a livello nazionale (Istituto degli Innocenti, 2019). In particolare essi risultano accorpati in categorie molto ampie che comprendono comportamenti o difficoltà con conseguenze potenzialmente differenti sul benessere dei bambini. Secondo tali dati, le principali cause di allontanamento riguardano: sistemi educativi e comportamenti non rispondenti alle necessità del bambino (19%), trascuratezza, incuria e/o assenza di una rete familiare adeguata (19,5%), maltrattamento (10%), sospetto abuso (4,5%), problemi sanitari di uno o entrambi i genitori (7,8%), problemi giudiziari di uno o entrambi i genitori (0,6%), gravi criticità nel percorso adottivo (1,4%), gravi problemi psicologici/fisici/comportamentali del minore (13,5%), minori sottoposti a misura penale (0,2%). In questo computo sono stati inseriti anche i minori stranieri non accompagnati (23,5%), che hanno un affido per motivi differenti.

Il 60% delle problematiche riportate risultano non superabili in tempi brevi e alcune di esse neanche in tempi lunghi.

Il 40% delle motivazioni ricomprese nelle due categorie più consistenti, sono invece etichettate in maniera così ampia da non consentire di effettuare considerazioni: occorrerebbe conoscere il dato scorporato per tipologia specifica di problema. Ci si domanda, a questo proposito, se sia un’operazione corretta, per esempio, etichettare come “sistemi educativi e comportamenti non rispondenti alle necessità del bambino” la voce che dovrebbe corrispondere a quella che nelle indagini nazionali risulta come: “incapacità educativa”.

Anche a partire da questi dati e considerata la gravità della maggior parte delle motivazioni riscontrate, comunque, occorre riflettere su come si possa affermare che sia possibile, attraverso il disegno di legge, evitare il 60% degli allontanamenti.

I dati del Rapporto nazionale su “Bambini e adolescenti in accoglienza in Italia” (Istituto degli Innocenti, 2019, p. 15) evidenziano come complessivamente la maggioranza dei casi (circa l’80%) di allontanamento sia riconducibile principalmente a gravi carenze nelle capacità genitoriali e a problematiche legate alle dipendenze, a patologie psichiatriche, a maltrattamento fisico o psicologico, trascuranza grave, o abusi sessuali. Rimane circa il 20% di situazioni caratterizzate da “trascuranza materiale ed affettiva” e altri problemi residuali di natura logistica e materiale in parte superabili con un lavoro più attento sulla famiglia d’origine, spesso però con tempi necessariamente medio-lunghi. Occorre tenere in considerazione inoltre che:

A) Il disegno di legge propone che l’allontanamento sia l’extrema ratio e che solo quando sono falliti gli interventi messi in campo si prenda in considerazione l’ipotesi dell’allontanamento. Le disposizioni attuali sono però già in questa linea. Si possono prendere ad esempio i dati molto articolati del Comune di Torino: in cui su 170.711 minori, ben 8.000 beneficiano di un intervento a casa per consentire loro di stare in famiglia contro i 1335 fuori famiglia, di cui 163 affidati a parenti, 219 minori stranieri non accompagnati, 55 in comunità socio-riabilitative, 21 minori non riconosciuti (dati Comune di Torino pubblicati sul sito di Casa Affido).

Se dunque già ad oggi l’allontanamento viene dopo vari interventi (educativa domiciliare, affidamenti diurni, inserimenti in comunità genitore-bambino…) e spesso avviene troppo tardi, che cosa accade se si ritarda ancora? Perché si presenta come nuova una prassi (es. segnalazione multidisciplinare) già prevista dalle leggi precedenti? Se è un problema di applicazione non è necessaria una nuova legge.

Inoltre l’art. 10 del DDLR prevede l’utilizzo dello strumento del PEF per lavorare con la famiglia d’origine. Esso tuttavia risulta rigido: è difficile stabilire all’inizio i tempi e non si indica con quali operatori verrà realizzato.

B) I tempi di recupero del genitore non coincidono spesso con la soddisfazione delle esigenze primarie del minore: lasciare per anni un bambino in una famiglia gravemente trascurante, in attesa di valutare se i genitori riescono a recuperare adeguate capacità di cura, è un'operazione a forte rischio, che mette davanti il "diritto del genitore" ad avere suo figlio, sul "diritto del bambino" di essere adeguatamente supportato. L’affido nella sua accezione più corretta è inoltre anche un aiuto al genitore che può dedicarsi ad uscire dalle sue difficoltà, in tempi anche più rapidi.

Si suppone inoltre una distribuzione dicotomica rispetto alle carenti capacità genitoriali: genitori maltrattanti e abusanti (per i quali non ci sono dubbi rispetto all'intervento) e genitori in difficoltà, solo da affiancare. Tra i genitori in difficoltà però ci sono innumerevoli differenze, alcuni necessitano di anni per poter superare le difficoltà (si pensi alle dipendenze), altri presentano un profilo che li rende "impermeabili" agli interventi.

Che cosa accade ai bambini mentre si attende l’eventuale recupero dei genitori?

C) La "trascuranza grave" ha gli stessi effetti sullo sviluppo infantile del "maltrattamento” e può avere effetti pregiudizievoli tanto quanto la violenza, come la letteratura scientifica attesta ampiamente. Non deve dunque essere sottovalutata.

D) Il DDLR sembra suggerire che la maggior parte degli affidi sia motivata dalle ristrettezze economiche della famiglia, facilmente risolvibili con un contributo economico. Le cose, tuttavia, non stanno così. Non solo la legge (l.n. 184/1983) vieta di allontanare dei bambini solo perché una famiglia è troppo povera per mantenerli (L’art. 1 comma 2° della legge 184/1983 e successive modifiche precisa infatti: " Le condizioni di indigenza dei genitori o del genitore esercente la potestà genitoriale non possono essere di ostacolo all'esercizio del diritto del minore alla propria famiglia. A tal fine a favore della famiglia sono disposti interventi di sostegno e di aiuto"). Nei dati nazionali compare che il 2,1% dei bambini in affidamento sono stati allontanati principalmente per motivi economici (1%) e per la perdita della casa (1,1%). Nel caso dei bambini/ragazzi in struttura la percentuale cresce al 2,3% per i problemi economici della famiglia e al 3% per i problemi abitativi. Lo stesso rapporto nazionale su questo aspetto rileva che le situazioni “contraddistinte da carenza e disagio di natura prettamente oggettiva dovute a difficoltà economiche, abitative o lavorative dei genitori” che costituiscono prevalentemente motivo secondario dell’allontanamento (Istituto degli Innocenti, 2019, p. 15-16). Il dato andrebbe approfondito, ma certamente tra i casi considerati (molto pochi!) rientrano i nuclei papà-bambino che si trovano temporaneamente sfrattati per i quali non sono ancora disponibili soluzioni alternative (es. strutture papà-bambino) in numero sufficiente. Possono rientrare in questo computo anche i nuclei rom e nuclei stranieri senza dimora, verso i quali si rileva decisamente minor attenzione rispetto a quella che si rivolge alle famiglie italiane.

E) Occorre considerare che non è neppur vero che problemi di grave negligenza e trascuratezza nei confronti dei figli riguardino solo o prevalentemente genitori poveri, anche se l’essere poveri può acuirli e renderli più visibili. Il sostegno economico, quando necessario per le condizioni di povertà, dovrebbe esserci a prescindere dalla adeguatezza o inadeguatezza dei genitori. Il sostegno e le forme di aiuto necessarie per sostenere una genitorialità debole, o carente, sono di altro tipo: educativo, relazionale, talvolta anche sanitario. Il sostegno puramente economico alle famiglie in difficoltà non rappresenta la soluzione, né garantisce un miglioramento delle capacità genitoriali, come dimostrato da numerose ricerche, anche italiane, in tal senso (Zancan, 2018). Risulta anzi dannoso se i problemi dei genitori riguardano le dipendenze o sono connessi alla salute mentale. Espone il servizio sociale a continue richieste senza garanzie.

F) Se la prevenzione è importante e va valorizzata investendo risorse nel lavoro sociale e nella formazione e supervisione degli operatori, occorre anche prendere atto che non sempre è sufficiente a proteggere i bambini da condizioni famigliari gravemente rischiose per il loro sviluppo. Ciò non riguarda solo i casi di violenza ed abuso, ma anche quelli di negligenza grave. E’ in questi casi che l’affido temporaneo costituisce un intervento necessario e prezioso: per il bambino, ma potenzialmente anche per i suoi genitori, che possono così, con l’aiuto degli operatori sociali, avere tempo per trovare un equilibrio e sviluppare capacità genitoriali più adeguate.

3) Opportunità e necessità di ricorrere più frequentemente all’affidamento a parenti fino al quarto grado

Il disegno di legge (art. 9) dispone che venga “privilegiato l’affidamento familiare fino al quarto grado di parentela, diurno o residenziale”. Si tratta di una prassi che rischia di trovare un’applicazione difficilmente superiore a quanto già in atto: è già prassi consolidata dei servizi esplorare, qualora si evidenzi la necessità di procedere all’allontanamento del minore dalla famiglia di origine, la possibilità di un affidamento ai parenti disponibili e in grado di provvedere adeguatamente alle esigenze del minore (38% in Italia – Istituto degli Innocenti, 2019; circa il 45% in Piemonte, dati della Regione Piemonte 2017). Tuttavia, occorre sottolineare che il solo fatto di essere parenti non garantisce l’avere buone capacità genitoriali. Ricerche internazionali sull’affido a parenti rilevano numerose criticità connesse a questa pratica: permanere di condizioni di povertà educativa; eccessiva vicinanza con uno o due genitori con dipendenze e fragilità che mal si conciliano con la crescita sana del bambino… Ogni situazione va dunque valutata con estrema attenzione.

Si sottolinea che il ricorso sistematico ai parenti fino al quarto grado richiederebbe oltretutto tempi molto lunghi per l’accertamento della loro eventuale disponibilità (ferma restando la necessità a nostro parere, di valutarne preventivamente le competenze affettive ed educative).

4) Eliminazione dello spreco di soldi generato dall’allontanamento dei minori dalle famiglie di origine, poiché grazie al risparmio ottenuto dal far permanere il 60% dei minori a casa si potranno investire, nel 2020, 9 milioni di euro e, nel 2021, 12 milioni di euro nella prevenzione e nel sostegno alle famiglie.

Il disegno di legge si propone un massiccio intervento economico sulle famiglie di origine, alle quali verrebbe erogato un contributo economico “almeno pari alla retta in presidio o al contributo all’affido”, art. 5, c.2, cui andrebbero aggiunte le risorse necessarie a sostenere il complesso e lungo lavoro di sostegno alle famiglie d’origine da parte degli operatori dei servizi socioeducativi e di psicologia. Questo richiederebbe personale stabile, sia a livello socio-assistenziale che a livello sanitario, in numero adeguato e con una formazione continua. Ovviamente non potrà fondarsi esclusivamente o principalmente sul volontariato (“azioni innovative nel settore dell’accoglienza familiare e della vicinanza solidale”, “supporto della rete parentale e degli enti o associazioni senza fini di lucro”, art. 2). Nulla si introduce per fare in modo che l’intervento sia più sostenuto o ci siano un maggior numero di operatori (art. 7 – “…si sottolinea altresì il ruolo dei servizi di psicologia nell’attività di valutazione sullo stato psicologico del minore e nell’attività psicoterapeutica a sostegno del nucleo”…). Non è chiaro con quali strumenti si favorisca la mediazione familiare né con quali fondi si paghino questi enti che presentano progetti (art. 8).

L'obbligo di destinare almeno il 40% delle risorse per gli interventi diretti a prevenire l’allontanamento del minore dalla sua famiglia, previsto nel disegno di legge configura un'ingerenza nella programmazione locale (art. 118 Cost.) e, comunque, in un periodo di obiettiva ristrettezza delle risorse, rischia di rendere impossibile garantire in modo omogeneo sul territorio regionale i livelli essenziali di prestazioni concernenti diritti civili (art. 117 Cost.), per esempio il necessario sostegno ai minori "fuori famiglia" e il sostegno alle famiglie di origine durante l'allontanamento dei loro figli per poterli in tempi brevi riaccogliere nel loro nucleo. Insomma, nel complesso l'effetto sarebbe un peggioramento degli interventi a tutela dei minorenni e delle loro famiglie.

Proporre una legge a “costo zero” (vd. art. 16 clausola di invarianza finanziaria), che si limita a spostare risorse da un capitolo di bilancio all’altro (vedi art. 15), evidenzia chiaramente che la proposta di legge ha prioritariamente un intento propagandistico: non si tratta di un investimento sulla prevenzione!

Ci si domanda, infatti, come si possa ottenere un risparmio così elevato, se non attraverso un peggioramento degli interventi di tutela dei minori.

Sarebbe preoccupante se esso dovesse derivare dall’incremento dell’affido privilegiato (indiscriminato) a parenti (art. 9) o dal garantire il rientro del minore nella famiglia di origine “in tempi il più possibile brevi” (art. 3) senza che siano state messe in campo tutte le misure per salvaguardarne il benessere e costruire le condizioni per un rientro positivo e definitivo in famiglia. Dimissioni anticipate di bambini e ragazzi nelle strutture potrebbe avere conseguenze anche gravi non solo sul minore, ma anche sulla sua famiglia e sulla società, a breve e a lungo termine. Sono necessari inoltre importanti interventi di accompagnamento “post-dimissioni” che di nuovo richiedono investimenti. Si tratta di un problema già presente oggi che rischia di aggravarsi.

In conclusione: l’immagine dell’“Allontanamento ZERO”

Parlare di “Allontanamento ZERO” significa in primo luogo centrare l’attenzione sugli aspetti di temporaneo distacco dei bambini dalle loro famiglie, ignorando però l’aspetto positivo e protettivo di un’accoglienza in un contesto familiare attento al minore. Significa dunque ingenerare sfiducia e sospetto nei confronti degli operatori (assistenti sociali, psicologi, neuropsichiatri, educatori) che si propongono di tutelare il minore e di difenderne i diritti e nei confronti delle famiglie accoglienti. Significa dunque togliere uno dei presupposti fondamentali dell’affidamento (specie quello consensuale): la fiducia. Il sospetto di secondi fini impedisce di fatto una relazione serena tra gli adulti coinvolti, con effetti negativi sui bambini.

Parlare di “allontanamento ZERO” fa pensare inoltre che si possa con una buona prevenzione arrivare a non allontanare pressoché più nessun bambino, ignorando che non tutti i genitori biologici sono in grado di essere anche genitori accoglienti ed educanti. L’articolo 3 (“diritto del minore alla propria famiglia di origine”), in particolare, evidenzia il concetto di famiglia, per prendere una decisa posizione a favore della famiglia di origine, supponendo la superiorità dei legami di sangue, qualunque essi siano.

Nell’interesse supremo del minore, lo stesso ha diritto di rimanere nella sua famiglia di origine se questa è “sufficientemente buona”. Se no, ha diritto di trovare un’altra famiglia accogliente e affettiva – fino all’adozione, nel caso la famiglia di origine si riveli irrecuperabile. Anche il contenimento degli interventi in struttura, previsto dal DDLR non può essere un obiettivo in sé, perché, qualora, nell’interesse del minore, fosse lo strumento adeguato di risposta al disagio, anche una comunità o comunità di tipo familiare può essere utile.

L’affidamento familiare in specifico, così come è definito dalla legislazione italiana, è un sostegno importante che la società civile può offrire ad una famiglia in difficoltà per tutelare il minore, nel tentativo di favorirne una crescita sana, e contemporaneamente per sostenere i genitori biologici, perché possano provare a superare le difficoltà, non perdendo la relazione con i figli.

In sintesi, per poter tutelare i minori sono necessarie alcune condizioni fondamentali, quali: 1) l’attivazione di un sistema di interventi sistematici con le famiglie a rischio, per evitare l’allontanamento dei figli o per favorire, per quanto possibile, il rientro dei minori allontanati; 2) la realizzazione di un sostegno continuativo (formazione e supervisione) rivolto ai professionisti che prestano il loro servizio nella tutela dei più deboli; 3) la selezione attenta delle famiglie affidatarie e l’offerta di un accompagnamento attento delle stesse; 4) la promozione della fiducia tra famiglia d’origine, operatori e famiglie accoglienti.

La Regione Piemonte si è distinta negli anni per le buone pratiche in questo senso, per l’attenzione ai minori e alle loro famiglie. Tali pratiche vanno riconosciute, valorizzate, sostenute, incoraggiate e diffuse in maniera omogenea su tutto il territorio regionale. Il rischio è invece che vengano osteggiate da una proposta di legge, quale quella di “Allontanamento ZERO”.

Si chiede dunque un dibattito aperto e pubblico con tutte le parti interessate secondo i principi di una democrazia partecipativa che si basa su un confronto di pluralità di prospettive.

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